Come diceva Pasolini, "La più grande attrazione di ognuno di noi / è verso il Passato, perché è l'unica cosa / che noi conosciamo ed amiamo veramente." C'è tanto passato in questo diario, passato che si coagula attorno a due figure, le figure centrali della vita di Sandro Buoro, prima e dopo:
"PADRE MIO, MADRE MIA
irrimediabilmente perduti
cerco le impronte della vita
tra i rovi che ricoprono l'orto che fu nostro
e chiedo ai mattoni della cascina che non è più
se ricordano la piccola cucina che riuniva di sera
prima che notte separasse ognuno
con fatiche e speranze proprie
ma i cuori battevano all'unisono
al canto dei riscatti sperati e dell'usignolo
sulla gaggia in fiore."
(7 agosto 2021)
Nostalgia del passato (dolore del ritorno del passato) che altrove s'allarga ai toni dell'epica contadina:
"DOVE SONO FINITI QUEGLI UOMINI coi vestiti stracciati e le mani ridotte ad attrezzi da lavoro, QUELLE DONNE COL GREMBIULE LEGATO IN VITA che cucinavano per la famiglia, preparavano conserve e marmellate, chiamavano col verso a sera le galline...".
Ma c'è anche, a fianco, il presente, vissuto con carattere costantemente polemico/ironico, perché "fuori infuria la storia e i venti sono contrari".
Perché con questo presente, per citare ancora Pasolini, come si può non essere polemici? È quello stesso passato che di per sé è critica nei confronti del presente.
Ne risultano, qui dentro, due musiche diverse. Il "largo" della contemplazione e del ricordo e il "mosso agitato" della polemica e della critica si alternano per formare l'ossatura tonale della raccolta. Ecco un esempio di come l'andamento lento dell'anapesto può guidare lo sguardo: "La stagione che il mondo foglia e fiora, la vertù che 'ntorno i fiori apre et rinove non è semplicemente croco che spinge la polvere, bocciolo carnoso di narciso che gonfia dal suo tubero ricco, tulipano che chiude la corolla a sera dopo averla impregnata di sole e aria oppure giacinto che spunta lento e mostra il fiore a grappolo un po' alla volta fino a ubriacare del suo odore...". Altrove la lingua corre: "di questa città in mano a cinesi, neri, magrebini, rumeni, slavi, centri commerciali e supermercati... e il peggio non sono loro in questo luogo 'fortunato' posto al centro del triangolo industriale d'Italia, l'ombelico della 'settima potenza industriale' del mondo... balle balle balle e parole parole parole berciate da cattivi amministratori, da imbonitori di popolo bue, da novelli Nerone con la cetra in mano a cantare la rovina della città e la scomparsa della Provincia da qualunque classifica civile." E così, rapportandosi una all'altra e scontrandosi anche e amoreggiando, le due essenze verbali alla fine si fondono in una voce originale, toccando la vetta:
"Bastava un fruscio di canne per sognare
alzando lo sguardo sulle scure macchie
dove cinghiali e forse draghi di notte
ritornavano nei campi, ai botri d'acque
rifugi perduti che la famiglia aveva bruciato
e reso terra buona per vivere.
In qualche luogo del nostro passato
c'era una grande famiglia da dove tutti siamo partiti
per solcare mari e terre del mondo
e là ritornare un giorno col sogno
a cerchio seduti canteremo di strade, paesi
uniti, felici del viaggio che mette pace in cuore."