Per chi, come Giovanni Sias, ha scelto di esporsi così radicalmente al rischio della ricerca psicanalitica (ben lo mostra la scelta del motto Navigare necesse est, vivere non necesse) la sua odierna riduzione a "terapia della psiche", la sua medicalizzazione, la sua psicologizzazione, il suo distacco dalla cultura, la sua professionalizzazione, il suo svilimento a tecnica, non possono essere sentiti che come un tradimento intollerabile della sua etica tragica, anch'essa opportunamente ridotta a "deontologia". Con accenti taglienti, spesso insofferenti, Sias denuncia e combatte l'asservimento degli analisti, convertitisi in contribuenti all'edificazione del Bene sociale, al nuovo compito di «far funzionare l'istituzione in accordo con la struttura dell'inconscio», sogno di una tirannide perfetta. Da qui questo inesorabile Inventario di psicanalisi - nuova edizione digitale del suo primo libro, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 1997 e da molti anni fuori catalogo - che è decisamente vocato alla pars destruens, all'urgente bisogno di "ritornare a Freud" mediante una tabula rasa che comincia dai suoi presunti "superamenti". Tuttavia, esso contiene già tutti i prodromi della necessaria pars construens, alla cui elaborazione Sias si voterà negli anni successivi, ponendo al centro del suo lavoro la meditazione sul linguaggio, con l'esplorazione del rapporto tra l'arte, la letteratura, la poesia, il teatro e l'evento della creazione.